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Intervista ad Antonio Cappadonia
Quattro chiacchiere con il Direttore tecnico dello Sherbeth Festival, giunto quest’anno alla decima edizione. Antonio, oltre ad essere un amico, è uno dei più appassionati gelatieri che io conosca. In questa intervista si parla di granita, di gelato, ma soprattutto di passione.
RL: Da siciliano DOC mi sapresti descrivere la granita perfetta?
AC: Credo non esista la granita perfetta! Credo invece nella buona granita preparata nel rispetto della tradizione. Per far questo occorrono ingredienti selezionati: dove possibile, quelli stagionali e quelli del territorio.
La granita è l’essenza della sicilianità! La Sicilia è l’unico luogo del mondo dove si comincia la giornata così: granita e brioscia. E quest’unicità andrebbe rispettata maggiormente, soprattutto quando si scelgono le materie prime. La granita è l’emblema della nostra terra. Non c’è turista che non chieda di assaggiarla. Non è blasfemo dire che la granita sta alla Sicilia come l’anima sta all’immortalità. Su questo tema, spesso si è caduti nello sterile campanilismo isolano, una gara per determinare la versione migliore: quella più compatta della Sicilia occidentale o quella più fondente nel versante orientale dell’Isola? In Sicilia ci sono tantissimi modi per prepararla e ciò è oltremodo significativo, perché è diversità e la diversità è cultura e la cultura è ricchezza!
Personalmente penso che la granita debba essere fondente e abbastanza liquescente da poterci affogare dentro la brioscia. Deve presentare cristalli di ghiaccio molto fini, deve essere morbida e soffice al palato, in modo che i sentori della frutta o del succo di agrumi possano esplodere armoniosamente e suscitare emozioni!
La lavorazione deve essere rigorosamente lenta e la conservazione deve avvenire a temperature tra i -4 e i -5 gradi, in modo da non alterarne il gusto e permetterne una buona godibilità. La shelf-life è brevissima, 3 / 4 ore.
Questo dolce freddo appartiene alla storia dell’intera Sicilia. Per noi siciliani deve essere un vanto poter trasmettere questi valori che sono anche nutrizionali (e i documenti storici ci vengono incontro anche in questo): raccogliere un frutto dall’albero al punto giusto della sua maturazione, poterlo frullare, estrarre il succo o le essenze della buccia, per poi trasformali, è un fatto di tradizione che arriva dal passato remoto della nostra terra.
RL: Il gelato è emozione, come riesci a trasmettere questa emozione nella preparazione del gelato?
AC: Mi emoziono sempre ogni qualvolta sono in laboratorio a preparare, a produrre il mio gelato. Seguo sempre un solo ed unico principio: quello della qualità, della eccellenza della materia prima, che è in primis rispetto verso la natura, e in seconda battuta verso l’uomo, verso i contadini che coltivano la terra.
Seguire l’etica e metterla in pratica, vuol dire attribuire valore, dare dignità ad un prodotto che deve essere, anzi pretende di essere raccontato, narrato al consumatore.
Ma per fare questo occorre studiare, ricercare, sperimentare, esplorare luoghi e persone.
Emozionarsi per emozionare! Fare il gelato male è la cosa più facile del mondo, farlo bene è un atto di verità!
RL: Si parla sempre più spesso di prodotti naturali, di maggiore attenzione all’ingredientistica, di etichetta pulita. Ma i clienti sono consapevoli del gelato che acquistano?
AC: Viviamo in una società iperconsumista, frenetica e rumorosa, dove l’uomo deve produrre, produrre a tutti i costi. Siamo distratti dalla pubblicità, da messaggi che offrono scorciatoie e false illusioni, il cibo è diventato comodità, è diventato merce, è diventato prezzo. Il cibo, nella odierna società industrializzata, ha perso la sua centralità, il valore proprio che gli appartiene. Attraverso il cibo, come elemento che sta alla base della nutrizione e della sopravvivenza dell’uomo, dovremmo conoscere chi lo lavora, chi fa fatica e sacrifici nel produrlo, chi rispetta la terra…
Credo che dovremmo prestare maggiore attenzione al cibo, dargli il giusto valore, così da ridare valore all’artigianato alimentare perché nell’artigianato alimentare c’è l’uomo e il suo lavoro manuale, c’è l’economia locale, c’è la qualità, c’è tanto valore aggiunto!
Occorre che il consumatore assuma maggiore consapevolezza, che non si faccia trarre in inganno dalla pubblicità; per far sì che sia interessato ad una buona informazione, occorre una buona educazione alimentare che parta dalle scuole di ogni ordine e grado. Attraverso l’educazione si può andare verso un futuro più salutistico e sostenibile.
Non ho mai capito perché nelle scuole si impartiscano lezioni di educazione religiosa, civica, musicale, artistica etc… e poco si parli di educazione alimentare!
Al gelatiere professionista, invece, compete una formazione olistica e non riduzionista della materia cibo e in particolar modo della componentistica degli ingredienti che manipola per la produzione giornaliera del suo gelato.
Il gelatiere ha la forza, in quanto artigiano, di comunicare, anche attraverso i propri collaboratori, di narrare, raccontare la filiera, la lavorazione artigianale e la qualità finale del prodotto.
RL: Quali sono i parametri di valutazione che ritieni più importanti nella degustazione di un gelato?
AC: La mia attenzione è rivolta sui seguenti tre elementi:
GUSTO. STRUTTURA. ASPETTO.
RL: Tu da tempo ti diverti a preparare dei sorbetti e delle granite utilizzando il vecchio sistema di ghiaccio e sale con attrezzature manuali. Quali sono le differenze che hai riscontrato tra questo sistema produttivo e quello odierno?
AC: Produrre granita con questo metodo antico, che risale già alla metà del 1600 (almeno se seguiamo l’esistente documentazione storica) conserva un fascino particolare. Ti riporta a tempi antichi, quando si viveva senza l’energia elettrica, in una società priva di tecnologie, di frigoriferi, dove la vita scandiva altri ritmi.
Questo metodo, che si rifà ad una particolare gestualità manuale che da secoli ormai fa parte del mio territorio, è stato fondamentale per far sì che la granita sia quella che oggi conosciamo.
Ovunque si legge e si scrive Granita Siciliana!
Ogni anno, la terza domenica di Luglio, il Club Alpino Italiano sezione di Polizzi Generosa, organizza la Festa della Neve. Una lunga e piacevole passeggiata verso Piano Principessa a circa 2000 metri di quota, dove si conserva ancora un’antica neviera ad imbuto che, grazie al particolare microclima, favorisce la permanenza della neve anche nei mesi estivi, specie se le nevicate in inverno sono state abbondanti. È qui che tutto ha avuto inizio e quindi studio e ricerca mi hanno permesso non solo di recuperare un pezzo di storia, di cultura e di tradizione ma anche di approfondire diversi aspetti della tecnica di produzione della granita!
Produrre la granita con questo metodo presenta delle diversità rispetto al sistema tecnologico odierno: con il metodo manuale, il punto di forza diventa la “lentezza”, sia nell’ottenimento del freddo sia nell’agitazione della miscela all’interno del pozzetto a cura della mano dell’uomo, mentre con i tradizionali mantecatori la velocità nell’emanare il freddo sul cilindro, grazie allo sviluppo tecnologico e conseguente agitazione automatica, la fa da padrone.
La lavorazione “antica” avviene a freddo statico. Freddo rilasciato lentamente a seguito di una miscela di neve (o ghiaccio misto al sale). Quest’ultima viene versata in un’intercapedine tra il mastello di legno e il pozzetto, al cui interno verrà versata la miscela di frutta, acqua e zucchero e lasciata per un po’ di minuti a raffreddare. Nel frattempo si forma il freddo che, a seguito di un intervento di raschiatura e agitazione con un cucchiaio di acciaio o di legno, darà vita a sottilissimi microcristalli di ghiaccio che conferiscono uniformità e morbidezza alla miscela: da stato liquido si passerà allo stato solido e quindi alla granita.
La differenza qualitativa tra i due processi, come detto, sta nella “lentezza” del congelamento e dell’agitazione del primo rispetto al secondo, più veloce: i cristalli di ghiaccio si formano più rapidamente e la struttura si presenta più fredda e meno vellutata.
Con tutto il rispetto per l’odierna tecnologia, dal punto di vista qualitativo-strutturale prediligo di gran lunga il metodo antico. L’unico punto a favore della modernità è la possibilità di produrre maggiore quantità di prodotto in minor tempo.
RL: Quali sono i valori che ritieni più importanti da comunicare sul punto vendita ai tuoi clienti?
AC: Anche qui sono tre i punti su cui mi soffermerei:
- FILIERA: approvvigionamento delle materie prime, qualità delle stesse, cultivar, provenienza e il racconto delle storie di quei produttori che quelle materie prime le coltivano.
- LAVORAZIONE ARTIGIANALE: l’artigiano-gelatiere e il suo mondo, la sensibilità e l’approccio al gusto e agli accostamenti di sapori, i tempi dedicati allo studio e alla realizzazione di gelati, sorbetti e granite.
- QUALITA’ DEL PRODOTTO FINITO: non c’è molto da aggiungere, la soddisfazione dei tuoi collaboratori nel proporre i vari gusti e del cliente nell’assaggiarli sono la migliore delle cartine di tornasole.
RL: Spesso è difficile per un cliente capire la differenza tra un gelato artigianale prodotto con ingredienti naturali da uno che simula l’artigianalità. Quali consigli dai ad un cliente per capire che tipo di gelato si trova di fronte?
AC: Ogni cliente ha le sue strade per definire. Capire se un gelato è buono coinvolge sensi, intelletto ed esperienza: alla base c’è il gusto, la conformità all’origine, l’assenza di aromi altri, diversi, che sviano dalla materia prima, poi la digeribilità e la leggerezza e solo alla fine la struttura e la consistenza. Il bravo gelatiere è quello che non fa pensare a quello che si sta mangiando. L’amore deve essere immediato, istintivo, senza mediazione.