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La storia del gelato
In principio era il sorbetto
L’uso di conservare il ghiaccio e la neve pressata per rinfrescarsi nel periodo estivo e consumare bevande ghiacciate è assai antico e trasversale in molte culture di tutto il mondo. Già in Mesopotamia nel secolo XVIII a.C. esistevano le “case del ghiaccio” dove si conservava la neve pressata, utilizzata in estate per rinfrescare le bevande.
In una tomba egizia della II dinastia, risalente a 2500 anni fa, sono stati trovati calici divisi in due parti che presumibilmente erano impiegati per poter contenere bevande e ghiaccio per rinfrescarle.
Anche nella Cina dell’VIII secolo a.C. si conservava il ghiaccio in depositi mantenuti freschi grazie all’evaporazione.
Ippocrate intorno al 400 a.C. indicava il consumo di succhi refrigerati quale medicina curativa. Lo stesso Alessandro Magno, intorno al 330 a.C., durante le sue conquiste faceva costruire grandi buche nel terreno per conservare la neve compressa da utilizzare in estate per il refrigerio delle sue truppe.
Dall’epoca dell’Impero Romano (70 d.C. circa), Plinio il Vecchio ci ha tramandato una ricetta composta da ghiaccio tritato, miele e succhi di frutta da mescolare per ottenere una crema consistente e ghiacciata.
Molto diffusi in tutto l’Impero Romano erano i Thermopholia, degli spacci pubblici dove d’inverno si consumavano bevande calde e d’estate bevande fresche, ovvero mescolate a ghiaccio e neve pressata.

In Sicilia l’arte di conservare la neve si sviluppò grazie ai nivaroli che costruirono le neviere sulle pendici dell’Etna, posizionate oltre i mille metri e scavate una quindicina di metri in profondità nel terreno vulcanico. La raffinata tecnica di raccolta, conservazione e trasporto, permetteva loro di fare arrivare il ghiaccio anche fuori dalla Sicilia, già prima del Rinascimento. A partire dal XVI secolo un po’ in tutta la penisola italiana vennero edificati depositi per la neve. Naturalmente questa esigenza non dipendeva semplicemente dal desiderio di refrigerio, ma era funzionale alla conservazione tramite il freddo, delle materie alimentari deperibili.
L’origine del sorbetto
L’origine del termine “sorbetto” è mediorientale ed è stata definitivamente certificata da un imponente studio della dottoressa Lucie Bolens, docente dell’Università di Ginevra. Dai documenti raccolti si evince che la radice sh-r-b (non ci sono vocali nei manoscritti arabi) significa sciroppo ed è utilizzata per identificare bevande composte da acqua, miele o zucchero di canna e poi portati ad ebollizione, in voga in Andalusia tra l’XI e il XIII secolo d.C, ma anche in Sicilia. Questi composti venivano poi aromatizzati con erbe officinali, spezie e fiori. Venivano consumati come medicamenti, caldi oppure freddi, dopo essere stati posti in giare a contatto con la neve o il ghiaccio. Quindi la pratica di preparare i sorbetti è stata importata in Spagna e in Sicilia durante le dominazioni saracene. Anche l’utilizzo dello zucchero di canna al posto del miele è stato introdotto dagli arabi, che ne conoscevano la coltivazione già da tempo.
Durante gli anni bui del Medioevo l’uso di preparare i sorbetti venne relegato all’interno delle strutture monastiche, il Rinascimento porta nuovamente in auge questo tipo di preparazione e ne decreta la definitiva diffusione, soprattutto all’interno delle corti più potenti d’Europa.
Il Rinascimento e la nascita del gelato
La corte dei Medici in Firenze a metà del 1500 ha potuto contare sul genio estroso di Bernardo Buontalenti, architetto e maestro di cerimonie per Cosimo I. Egli fu uomo di grande ingegno e organizzò sontuosi banchetti durante i quali, oltre ad offrire spettacoli pirotecnici, contribuì alla realizzazione dei primi gelati composti da latte, miele, tuorlo d’uovo e vino. L’idea di gelare prodotti grassi come il latte e le uova, segna uno spartiacque tra i sorbetti e i gelati, anche se all’epoca non si faceva ancora caso a questa differenza.
Buontalenti, tra le altre cose, costruì diversi depositi di neve pressata a Firenze per approvvigionare nobili, commercianti di alimenti deperibili e gli ospedali della zona. Di lui si disse che “inventò il modo di conservare il diaccio e la neve” e pare che avesse anche creato una sorta di gelatiera a manovella

Fu inevitabile che a partire da quel momento tra le altre corti d’Europa si diffondesse la pratica di consumare sorbetti e gelati, considerati una leccornia riservata alla nobiltà. Sia perché preparata con preziose spezie, come lo zucchero di canna, sia perché la “creazione” del freddo era ancora una scienza poco diffusa e misteriosa, certamente non alla portata del popolo.
Bisogna aspettare il 1686 per poter gustare sorbetti e gelati all’interno di un esercizio pubblico. In tale data infatti l’intraprendente siciliano Francesco Procopio Cutò inaugurò, a Parigi, il Caffè Le Procope. Si tratta di uno dei primi luoghi, se non il primo, dove si potevano gustare sia il caffè che la cioccolata calda, ma anche tutta una serie di prodotti freddi come le acque ghiacciate, i sorbetti di frutta e di creme e vari dolci della tradizione siciliana.

Le Procope, situato nei pressi della Comédie Française, diventò nel tempo uno dei più frequentati caffè letterari di Francia, tra i cui ospiti sono passati Rousseau, Voltaire, Diderot, Victor Hugo, Balzac e persino l’allora tenente Bonaparte. Cutò riuscì inoltre ad ottenere da parte di Luigi XIV, la “patente reale” per la produzione di “Acque gelate (le odierne granite), gelati di frutta, sorbetti ed altri dolci freddi”; il che lo pose in una posizione quasi monopolistica ai tempi.
Altri italiani hanno avuto il merito di diffondere l’arte gelatiera sia in Francia che oltre oceano, tra questi il genovese Giovanni Bosio che nel 1770 portò il gelato a New York e Velloni che nel 1798 in Francia aprì con successo il “Café Napolitain” poi passato alla direzione del suo dipendente Tortoni.
Tra l’Ottocento e i primi del Novecento il sorbetto diventa una preparazione di gran moda ed entra in tutti i ricettari culinari dell’epoca. Il termine “gelato” come prodotto a sé, fa la sua prima comparsa scritta sul libro del liquorista Vicenzo Agnoletti, dal titolo “Le arti del credenziere, Confettiere e Liquorista” del 1822. Egli per primo stabilisce una classificazione tra il sorbetto granito, il sorbetto gelato e il sorbetto spongato. Non si tratta tanto di una differenza di tipo merceologico, quanto di corpo e struttura dei diversi preparati. Agnoletti attribuisce infatti caratteristiche di durezza, maggiore freddezza e solidità ai gelati; una struttura granulosa, grazie sia ad una minor quantità di zuccheri che ad una ridotta lavorazione tramite il freddo ai graniti e ad una spumosità, raggiungibile tramite sbattimento e anche all’introduzione della meringa, per gli spongati. Nel suo “Trattato di cucina, Pasticceria moderna e Credenza e relativa Confettureria” del 1854, Giovanni Vialardi afferma che nel sorbetto ci deve essere anche del liquore e che questo, date le sue proprietà anticongelanti va ben dosato e inserito nella miscela del sorbetto a fine mantecazione.
Infine citiamo un passo tratto da “La guide culinaire”, pubblicato da August Escoffier: “I gelati sono la conclusione del pranzo, perciò non hanno minore importanza di tutto ciò che concerne la cucina. Se ben fatto e ben presentato, il gelato rappresenta anzi l’ideale della più fine squisitezza… L’Italia, culla delle arti in genere, può essere definita culla dell’arte del gelato”. E se lo dice un francese….
Nel 1896 Italo Marchionni, un cadorino emigrato in America, inventò il cono di cialda, riuscendo ad ottenerne il brevetto nel 1903.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900 sorgono un po’ in tutta Europa le attività di somministrazione che propongono caffè, tè, cioccolata e gelati. Nascono, soprattutto in Italia, anche i primi laboratori in cui veniva prodotto esclusivamente il gelato per la vendita ambulante.
Il gelato diventa un prodotto popolare e nascono due figure professionali nuove: il gelatiere, titolare delle ricette e depositario dei processi produttivi che dirige la produzione in laboratorio e il gelataio, spesso un giovane garzone addetto alla vendita del prodotto, sguinzagliato per le vie cittadine a bordo di carrettini spinti a mano o in bicicletta.
Il gelato artigianale viene quindi declinato in due diverse forme: all’interno dei Caffè e dei locali frequentati dall’alta borghesia, dove si servono prodotti gourmet preparati da un cuoco/pasticcere in cucina, e agli angoli delle strade per il pubblico meno abbiente e quindi dalle pretese più modeste.
A partire dal 1851 negli Stati Uniti si sviluppa l’industria dell’Ice Cream, grazie alla lungimiranza dell’imprenditore di Baltimora, Jacob Fussel e il gelato industriale, promosso come igienicamente più sicuro, sostituisce rapidamente quello prodotto nei laboratori artigiani di origine italiana e distribuito dai carrettini. Questo accade negli USA e in gran parte degli altri paesi dove prende piede l’industrializzazione della produzione del gelato in vista di una distribuzione di massa, che punta sulla qualità igienica dei processi, ma che spesso non si cura della qualità degli ingredienti.

L’Italia dal dopoguerra ai giorni nostri
L’industria del gelato ha fatto la sua prima apparizione in Italia nel primo dopoguerra, precisamente alla fine degli anni ’40, quando gli industriali dei prodotti da forno Motta di Milano introdussero per la prima volta la tecnologia made in USA nella produzione di gelato industriale. Nasce l’ice cream italiano. Il periodo storico coincide con il dopoguerra e la ripresa economica. All’epoca il numero di gelaterie in Italia raggiungeva le tre mila unità, e la maggior parte erano piccole botteghe dove il gelato veniva preparato spesso con scarsa attenzione all’igiene. Questo fatto ha spinto l’industria a puntare sulla sicurezza igienica del proprio prodotto messo a confronto con quello artigianale ed ha iniziato una dura battaglia, nata per poter sostituire l’ice cream al gelato artigianale, come era successo già negli Stati Uniti.
In Italia questo non è avvenuto poiché il mercato artigianale si è saputo difendere, prendendo consapevolezza, unendosi in associazioni di difesa del prodotto e del mestiere artigiano ed infine aumentando la propria professionalità e la cura nel processo produttivo. Il mercato del gelato artigianale è cresciuto negli anni facendo crescere anche i consumi e la qualità del prodotto. Molte gelaterie si sono presto trasformate in laboratori capaci di produrre e distribuire il proprio prodotto artigianale in modalità sempre nuove, ma anche attente a differenziarsi con il prodotto industriale di massa.
Negli ultimi trent’anni del secolo scorso il comparto del gelato artigianale ha visto uno sviluppo esponenziale, grazie agli investimenti in ricerca tecnologica di chi produceva attrezzature, ma anche di chi realizzava preparati alimentari di supporto al gelatiere: i semilavorati per gelateria. La tecnologia ha fatto passi da gigante ed ha contribuito a semplificare e velocizzare la tecnica di produzione.
L’industria dei semilavorati ha saputo cavalcare con profitto questa ondata di interesse e, se da un lato si è prodigata per aumentare la qualità dei semilavorati permettendo agli artigiani di aumentare la gamma dell’offerta, dall’altro si è adoperata per semplificare le procedure di preparazione delle ricette, offrendo prodotti sempre più sofisticati e preparati pronti per sopperire ad una dilagante mancanza di professionalità, soprattutto diffusa tra gli ultimi arrivati in cerca di facili guadagni e pochi sacrifici.
Il mercato italiano è così aumentato sotto il profilo dell’offerta e la concorrenza, sempre più serrata, ha iniziato a mietere le prime vittime in un comparto che per lungo tempo non ha conosciuto crisi.

Oggi nel nostro paese siamo in una situazione di mercato cosiddetto maturo, dove l’offerta deve essere altamente competitiva per potersi imporre. Gli operatori che si affacciano al mercato del terzo millennio sono in possesso di una maggiore scolarizzazione rispetto al passato ed iniziano a comprendere che la formazione professionale, le scelte di qualità e le regole del marketing e della buona gestione di impresa sono fattori imprescindibili per il successo di un’attività, anche se di piccole dimensioni.
Con l’inizio del nuovo millennio si sono affacciati nel mondo del gelato nuovi imprenditori con l’obiettivo di standardizzare il concetto di gelateria artigianale creando network e catene di negozi in serie, emulando tutti gli altri settori della ristorazione e somministrazione che hanno avuto grande successo, soprattutto all’estero. Questi modelli di gelaterie hanno caratteristiche molto più vicine alle catene della ristorazione internazionale, tipo “Pret à manger” o “Starbucks”, che non alle tradizionali gelaterie artigiane. Si tratta in massima parte di negozi replicati sia nella struttura che nell’immagine, che propongono un prodotto standardizzato sotto il profilo della qualità, del servizio e dell’offerta. Il successo commerciale e i buoni risultati ottenuti a seguito di efficaci investimenti sul brand di alcuni di loro, ha spinto e sta spingendo più di un gelatiere artigiano a duplicare la propria impresa o a pensare direttamente di creare dei concetti di gelateria con molteplici punti vendita.
Benché le principali catene, network o franchising di gelaterie si presentino all’esterno con un’immagine improntata al locale di tipo artigianale, spesso si tratta di concetti semi-industriali che nascondono una complessità organizzativa del tutto aliena a quella della tradizionale gelateria, oltre alla necessità di impegnare risorse economiche ed umane di grande importanza nella loro gestione. Di fatto le catene utilizzano gli stessi canoni di presentazione del prodotto, la stessa metodologia di vendita e gli allestimenti degli arredi tipici dei punti vendita delle gelaterie artigianali di produzione propria. Ma dal punto di vista organizzativo si tratta di vere e proprie industrie che richiedono grandi risorse e notevoli capacità gestionali.
Questa sovrapposizione di immagine, che naturalmente genera confusione nel cliente finale, è dovuta alla mancanza ancora oggi di una legge (in Italia e nel resto del mondo) che differenzi in modo chiaro ed univoco il prodotto artigianale di produzione propria da quello industriale o semi-industriale tipico delle catene o da quello prodotto con semilavorati pronti.
(tratto da Il mondo del Gelato di Roberto Lobrano – Slow Food Editore 2018)
In questo video di 10 minuti c’è un assaggio di uno dei nostri corsi.
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